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venerdì 18 gennaio 2013

Gli arbitri e le pause forzate

Gli studi, il lavoro, la famiglia o, peggio ancora, infortuni di vario genere fanno si che possa capitare di doversi fermare per un tempo più o meno determinato.
A me è capitato proprio durante gli studi universitari laddove, considerando il fatto che già lavoravo, fui costretto a sospendere la mia attività federale in virtù dei numerosi impegni.

Quando lo feci, lì per lì, non sentii così forte questa mancanza. Anzi, dopo quasi otto anni di fila mi sembrava strano riavere tutti per me i fine settimana. Niente più sabati blindati in casa, niente più domeniche di risvegli precoci, partenze e rientri nel tardo pomeriggio.
Soprattutto nelle gelide domeniche autunnali e invernali, pensare che sarei dovuto essere la fuori, sotto le intemperie di madre natura, dava un certo tipo di sollievo.
Ma, come ho scritto in uno dei primi post di questo blog, fare l'arbitro è quasi come una vocazione. Arriva un momento che quel freddo quasi ti pare di rimpiangerlo. Anche perché, in quale altra occasione ti puoi togliere lo "sfizio" di correre sotto un temporale?
Ripresi con l'attività amatoriale e, vi assicuro, giocare alle undici di sera in pieno inverno è veramente ai limiti della follia umana. Anche perché, nell'attività amatoriale, non è così scontato che si capiti su di un campo con una partita "vera". Spesso, il match, si trastulla tra ritmi lentissimi e passaggi sbagliati obbligando noi arbitri a dover fare le statuine congelate in mezzo al campo. Di solito, la ciliegina sulla torta, è una bella pallonata in mezzo alle scapole, arrivata dopo un tiro sbagliato che centra però, involontariamente, noi.
Roba da tagliare il fiato, fischiare la fine e andarsene immediatamente a casa.
Quando però ti fermi (e io ora sono fermo, di nuovo, da sette mesi per questioni lavorative) riscopri tutte queste sensazioni. 
Come dicevo, da un lato riassapori la vita quotidiana ed il semplice fatto d'avere un po' più di tempo libero per se stessi e i propri cari. Dall'altra però senti che ti manca qualcosa. Almeno, così è per me. A me manca il confrontarmi con la gente, manca quel senso di responsabilità e gratificazione quando riesci a fare per bene questo "lavoro". È vero, non manca molto il contorno fatto di freddo, vento, neve, pioggia e insulti ma, questi, non sono altro che i "rischi" di chi decide che vale la pena vivere questa passione.
Certo, facile scrivere di queste cose con una giornata come quella di oggi fuori: quasi 10 gradi e un sole bello pieno in alto nel cielo.
Sono certo che se oggi nevicasse o piovesse, forse, non avrei neanche perso tempo a scrivere...

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