Quello della distanza giocabile è un altro di quei momenti che non si possono sottovalutare in una partita.
Soprattutto quando ci si ritrova di fronte a giocatori che, consci
della problematica, non perdono occasione per testare i nervi degli
avversari e dell’arbitro cercando sempre le ripartenze il più rapide
possibili.
Sia chiaro, è un loro sacrosantissimo diritto a leggere il
regolamento ma è altresì vero che questo quando viene riadattato sui
campi del calcio a sette amatoriale può diventare un grosso problema.
I campi sono molto più piccoli ed una punizione che potrebbe essere
innocua in un campo regolare a undici può invece diventare una buona
occasione da rete in un campo a sette (sempre che non sia un campo a
cinque riciclato come campo a sette…)
Ora, essendo fuori dal giro federale da un po’, non so se sia
cambiata la normativa che regola la distanza con l’introduzione della
bomboletta. Prima di tutto ciò (ed è ciò che a tutt’oggi accade in tutti
i campi delle serie inferiori ed amatoriali) si
stabiliva un accordo più o meno implicito tra calciatori ed arbitro. Se
tu mi chiedi la distanza, allora fischio io e permetti all’avversario di
piazzare la barriera alla distanza regolamentare.
Se tu non chiedi nulla puoi partire quando ti pare e piace, senza
fischio ma non puoi pretendere che tutti siano alla distanza
regolamentare.
Nasce quindi da questa follia (si, mi permetto di giudicarla dopo
tanti anni di esperienza) il concetto di distanza “giocabile”. Che non
vuol dire nulla visto che non è una norma ma un concetto astratto a
discrezione dell’arbitro.
Non ci vuole certo un genio per capirne l’origine. In una partita
di calcio, molto spezzettata, il dover fischiare per ogni ripresa di
gioco sarebbe effettivamente estenuante e rischierebbe di distruggere
per davvero il ritmo oltre a rendere il gioco tremendamente
noioso.