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lunedì 14 maggio 2012

Gli arbitri e le frasi consuetudinarie...

«Domani andiamo a lavorare» oppure «ma che rimessa è?».
Gli arbitri, soprattutto dei campionati amatoriali, sanno bene già di cosa sto parlando.
Quante volte avete sentito ripetere queste frasi?
Una condanna alla quale nessun arbitro può sottrarsi. La cosa più divertente di tutte, però, è che nessun giocatore pensa che, domani, anche il "povero" arbitro andrà a lavorare perché, purtroppo, non si campa semplicemente sgambettando su un campetto d'erba sintetica a dirigere le partite tra scapoli e ammogliati.
Ma si sa, ormai...

Se un calciatore sbaglia un gol a pochi metri dalla porta vuota è sempre colpa del terrena storto, del pallone molle, della scarpa allacciata male e di altri centomila appigli che giustifichino la mancanza di concentrazione di quel momento. L'arbitro, invece, non può sbagliare. Come se davvero ogni contatto, ogni situazione di gioco, ogni rimbalzo del pallone avesse un'unica e univoca risposta.
Eppure lo sanno anche i calciatori, lo sanno gli allenatori e lo sanno anche i tifosi.
È praticamente impossibile avere un parere univoco su ogni fallo. Ci sarà la persona per la quale quel fallo è davvero un fallo e anche evidente, ci sarà la persona per la quale quello è un "falletto" e ci sarà la persona per la quale, invece, non era poi fallo. Di situazioni veramente univoche, nella mia vita, ne ho trovate ben poche e, anche quando ci sono state, qualcuno ha sempre tentato di giustificarle.
Come dimenticare le entrate da dietro con il solo ed unico scopo di vendicarsi di un potenziale mal torto subito?
Possibile che a nessun addetto è mai balenato in testa che non esistono attenuanti nel regolamento del calcio? Che non sei autorizzato a fare falli o tirare calci e pugni se, per sbaglio, il tuo avversario lo fa per primo?
Vediamo quindi quali sono le altre frasi più o meno consuetudinarie oltre a quelle già citate:
«quanto ci mettono a battere?» oppure «poi recuperiamo il tempo perso...». Poco importa se la partita, nel mentre, s'è indirizzata su un sono cinque a zero. Se, su una partita da venticinque minuti concedi "soltanto"  due-tre minuti di recupero beh, scatta la protesta....«così poco?»
C-o-s-ì p-o-c-o???
Tre minuti li danno normalmente nelle partite vere, quelle che durano novanta minuti e, questa gente, si lamenta dei tre minuti sui cinquanta totali?
Che faccia tosta!


«Arbitro, ma che distanza è??? » oppure «ma non c'è la distanza?».
Questo è un altro classicone. Non c'è calcio piazzato per il quale non scatti la domanda di rito. Se la metti troppo lontana si lamentano i giocatori in barriera, troppo vicino i giocatori che devono battere. Insomma, si tratta d'un rebus senza soluzioni che, alla fine, scontenta per forza una delle due squadre. Non c'è modo di farlo giusto. Neanche se dotassero ogni arbitro con un metro e si mettesse a misurare tutte le volte l'effettiva distanza.


Non vogliamo parlare poi dei cartellini? Non c'è giocatore sulla faccia della terra che, prima o dopo, ti faccia la "predica" sull'uso degli stessi. Loro, i giocatori, gli allenatori e anche i tifosi, li saprebbero usare SICURAMENTE meglio di te.
Non importa se nel corso della tua carriera hai arbitrato dieci piuttosto che mille partite. Un calciatore, un allenatore o un tifoso che mai hanno provato a fare quel mestiere sanno SICURAMENTE cosa era meglio fare in quella situazione.
Incredibile. Continuo a domandarmi, ogni giorno, perché ci sia così tanta carenza di arbitri. Se è così facile, se tutti hanno la verità in tasca e la saggezza giusta per saper gestire cotante capacità perché non metterle al servizio di tutti?
Si sa, meglio fare i calciatori e scaricare le proprie inettitudini su un arbitro che non sa arbitrare piuttosto che su un compagno che non ti sa passare la palla bene o, peggio ancora, su un allenatore che ti schiera nel ruolo sbagliato.
Però, se tutti gli altri possono tentare di trovare degli alleati beh, l'arbitro no.
L'arbitro è solo e tale deve restare. La "squadra" di arbitri esiste solo laddove gli interessi in gioco sono così alti che sarebbe assurdo pensare che un solo uomo possa accettarne la pressione per un compenso, in confronto, ridicolo.


«L'altra volta, però, con l'orecchino mi hanno fatto giocare» oppure «ma l'altra volta non mi hanno detto di mettermi i parastinchi».
Me lo sono sentito ripetere talmente tante volte che, alla fine, ho ceduto. Da quando sono passato ai campionati amatoriali ho rinunciato a combattere questa battaglia.
Se ascolti gli altri colleghi sembra che nessuno tolleri queste cose; sembrano tutti inflessibili. Poi osservi le partite prima di te e ti accorgi che, in fondo, siamo tutti un po' uguali. Predichiamo bene ma poi sappiamo benissimo che è ridicolo chiedere a un giocatore di indossare obbligatoriamente i parastinchi.
Non lo vuole fare? Pace all'anima sua...anzi, al primo calcio nelle tibie si può anche far finta di non aver visto niente e, nel caso, redarguirlo sul fatto che sarebbe il "caso che li indossasse".
Sulla questione orecchini, la situazione, è più delicata.
Io, personalmente, mi sono stancato di ripeterlo. A meno di partite particolari (dove so che ci possono essere osservatori/telecamere) beh, me ne fotto. Ho deciso d'essere "quell'arbitro" che la settimana prima l'ha fatto giocare. D'altronde ne va dell'incolumità solo e soltanto del giocatore interessato. Se il piercing gli strappa il lobo dell'orecchio per un contrasto beh, se lo ricorda per il resto della sua vita.
D'altronde io sono arbitro amatoriale quindi, per natura, scarso in partenza. Posso anche non aver visto quel dettaglio dorato.


Per oggi è tutto. Sicuramente mi verranno in mente altre frasi tipiche, ancor più sicuramente continuerò questa mia falsariga sarcastica-polemica a riguardo!
Grazie!

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