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giovedì 28 gennaio 2016

Gli arbitri e la figura pubblica

Questo post nasce dal commento ricevuto nelle scorse settimane che mi ha dato un ottimo spunto riflessione sull'arbitro e sulla figura pubblica che oggi rappresenta.

Come già spiegato nella risposta, la mia scelta dell'anonimato non fu dettata da alcun tipo d'imposizione.

Optai semplicemente per questa forma soprattutto per evitarmi tutto l'iter burocratico relativo ad autorizzazioni varie ed eventuali con ulteriore rischio annesso che, taluno dei protagonisti degli episodi, potesse in qualche modo essere riconosciuto.

Insomma, una scelta di comodo da un lato che mi ha comunque permesso di esprimermi senza tanti problemi e, soprattutto, in assoluta libertà.

In fondo cambia davvero qualcosa sapere se io sono Mario Rossi o Claudio Bianchi?

E cambia davvero qualcosa sapere se la squadra in questione è il Team A piuttosto che il Team B?

Direi proprio di no. 

Questo però mi ha dato da riflettere sul ruolo che invece ricoprono gli arbitri di alto livello e sull'effettiva imposizione che gli stessi hanno nell'evitare di parlare con il "pubblico" degli episodi accaduti.

Aiuterebbe?

Sicuramente il dialogo è sempre una via preferenziale per risolvere ogni problematica ma è altrettanto vero che, un vero dialogo, presuppone che almeno due interlocutori siano pronti e soprattutto capaci d'ascoltarsi. Non serve a niente dialogare con persone che non sono disponibili a farlo o che, peggio ancora, fingono di ascoltare sapendo già che ogni cosa che gli si dirà non è corretta.

Per questo che il rapporto calciatore/arbitro e, più di tutti, il rapporto tifoso/arbitro non è così facile da analizzare e da far incanalare lungo la via del dialogo.

Pur presupponendo che tutte le decisioni vengono prese in buonafede il calciatore ed il tifoso restano convinti che l'arbitro "ce l'abbia con loro" e che faccia tutto quello che può per far perdere loro la partita.

È evidente che un ragionamento del genere rasenta quasi la follia, a maggior ragione se scendiamo nelle categorie sempre più basse dove, proprio l'arbitro, non ha il benché minimo interesse a parteggiare da nessuna delle parti ma anche ad altissimo livello, se un arbitro arriva fin lì, non ho il minimo dubbio sul fatto che mai e poi mai manderà in malora la propria carriera per favorire chicchessia.

Fatta salva la corruzione (ma questo è un malaffare presente in tutti i settori), quello che il calciatore ed il tifoso fanno fatica a comprendere è che fare l'arbitro non solo non è facile ma è una scelta intima e personale e, come tale, ci vuole davvero un fattore esterno scatenante così incontrollabile tale per cui si vada contro questa scelta così profonda.

Questa premessa mi è stata doverosa per tentare di far comprendere come io non sia così convinto che la discussione a mente fredda porti davvero ad un clima più sereno.

Ammetto anche che io sono il primo che sbaglia in campo. Ma vi assicuro che se non fosse per i calciatori, neanche me ne accorgerei di farlo.

È già capitato e continuerà a capitare che in una partita siano loro stessi a farmi invertire una rimessa laterale piuttosto che un calcio d'angolo inesistente.

Io cambio idea solo perché me lo dice il diretto interessato ma nella mia mente sono convinto d'aver visto quello che ho fischiato.

Questo perché, nonostante tutto, le diverse posizioni in campo di ognuno dei protagonisti portano ad avere letture differenti della stessa azione. L'arbitro fischia per quello che vede, spesso lo fa istintivamente senza neanche avere il tempo per ragionare. Ecco perché, un bravo arbitro, non solo deve avere un'adeguata preparazione tale per cui cercare d'essere nella migliore posizione possibile in campo, ma deve anche avere la lucidità di far prevalere il buon senso sull'istinto nel tentativo di comprendere al meglio l'episodio appena visto.

Sia ben chiaro che stiamo parlando di veri e propri attimi all'interno di un lasso di tempo che non supera i 5 secondi.

Infatti, se la fretta può essere foriera di errori anche un'attesa non proporzionata renderà le nostre decisioni sempre meno credibili e, nell'arco di un'intera partita, rischierà di compromettere il nostro arbitrato magari proprio nei concitati minuti finali.

Chiarito questo, ha davvero senso che un arbitro vada poi a raccontare in TV o sui giornali ciò che gli è passato per la testa in quegl'istanti? Soprattutto, qualcuno se ne farebbe davvero una ragione?

Forse sono troppo pessimista ma ho la netta sensazione che TV, tifosi & Co. troverebbero un sistema per strumentalizzare anche un banale gesto di sincerità.

Sono d'accordo invece sulla possibilità di incontri tra i protagonisti anche perché io, sia da arbitro che da tifoso, le più belle "lezioni" su questo tipo di rapporto le ho proprio avute da giocatori, allenatori, tifosi ed altri arbitri, incontrati attraverso le riunioni federali.

Il vero problema del calcio in Italia è che non è solo uno sport ma, anche a livelli amatoriali, quasi l'unica vera e propria ragione di vita. E per una ragione di vita ci sono elementi tra tutti i ruoli sopra citati che perdono completamente l'equilibrio arrivando a fare gesti sconsiderati e, talvolta, anche pericolosi.
Ed io, a distanza di tempo ancora mi chiedo: «ma vale davvero pena rovinarsi la vita per quello che dovrebbe essere uno sport?»

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