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giovedì 15 marzo 2012

Perché fai l'arbitro?

Cos'è che spinge una persona, ad un certo punto, a decidere di diventare arbitro?Io credo, a meno che non sia una tradizione di famiglia, che ci sia sempre un grappolo di diversi fattori che ti spingono, alla fine, a dire: «si, lo voglio fare».
Nel mio caso i fattori che mi hanno condizionato in questa scelta sono stati diversi. Una pesante litigata con il mister della società per la quale giocavo da terzino, a sedici anni, in Terza Categoria.
La pretesa da parte sua e della società di farmi pagare la quota annuale (nonostante fossi uno dei pochi 4-5 a presenziare sempre a tutti gli allenamenti e a tutte le partite della prima squadra e della Juniores) d'iscrizione ma, soprattutto, il fatto che mi fosse stata chiesta nello spogliatoio, davanti ai compagni, m'indignò a tal punto che optai per interrompere immediatamente quella mia avventura con quella è stata e resterà l'unica società per la quale ho mai giocato.
In quella stessa estate, poi, ebbi l'occasione di conoscere un amico di famiglia che già faceva l'arbitro da più di vent'anni, anch'egli dapprima in AIA e poi a livello amatoriale e, in seguito, di fare il mio 'esordio' sul campo pur non essendo una partita ufficiale. Due squadre della scuola superiore che frequentavo si affrontarono per un match. La vincitrice avrebbe poi partecipato ai giochi scolastici. Andai al campo per godermi lo spettacolo dato che, in una delle due squadre, vi erano alcuni dei miei compagni di classe. Io avevo dato forfait all'ultimo minuto in virtù di un leggero infortunio. 
Ciò nonostante, arrivato sul campo, l'insegnante di educazione fisica mi propose di arbitrare quel match.
Risposi di si, inconsapevole, all'epoca, che un arbitro corre (o almeno dovrebbe) decisamente più dei giocatori in campo dovendo essere quasi onnipresente. 
Quel giorno però presi consapevolezza che fare l'arbitro mi piaceva e decisi di informarmi dapprima con quell'amico di famiglia che mi indirizzò alla sezione del paese dove abitavo.
Quella fu la mia piccola fortuna. Avere la sezione arbitrale, proprio nel paese (che non era dei più grandi) mi permetteva di seguire il corso e partecipare alle riunioni andando in bicicletta. Ah, che ricordi!
M'informai telefonando, mi diedero le date del primo corso e, in poche serate, erano già bello che pronto per l'esame. 
Questo è, purtroppo, il primo lato 'oscuro' che mi sento di segnalare di quest'esperienza. Nonostante tutta la buona volontà di chi istituisce e segue i corsi per arbitri, la verità è che, vista la scarsa vocazione (soprattutto nella sezione in cui ero io), all'esame accedeva praticamente chiunque si presentasse e, di bocciati, neanche l'ombra. 
Io, sinceramente, avevo seguito e avevo studiato per bene tanto il regolamento quanto la guida pratica. Ci tenevo, tenevo a fare un buon esame e non vedevo l'ora di mettermi alla prova. 
Il giorno dell'esame fu, come ci avevano 'soffiato', una pantomima. Gente che copiava ovunque, risposte collettive così che, alla fine, lo scritto lo passarono tutti senza problemi.
L'orale fu un po' più delicato ma non per questo insuperabile. La domanda per tutti fu quella sul fuorigioco, regola a dir poco 'fondamentale' da imparare prima di cimentarsi in campo.
L'altra domanda che fecero a me fu la differenza tra "ostruzione" e "ostruzionismo".
Risposi correttamente e mi liquidarono con un «sei pronto».
Ero felice. Di lì a poco avrei fatto il mio esordio ufficiale. Ma questa è un'altra storia che vi racconterò in un altro post...



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